I understand Contact Improvisation to be, in a very simple way, just dancing.
I don’t really separate it from the rest of my dancing.
My own “definition” of Contact Improvisation is: “The exploration of the limits and possibilities of moving with poetic intent, but without a plan, in close proximity with other people, and the effect of what is learned there on the dance when we are further away”.
If I had to name my concerns in a few words I’d say;
- People dance – not bodies.
- A tendency to being poetic in movement is a universal human trait. That’s the seed of dancing.
- Dancing is real movement in real space and real time engaged in with poetic intent. It can’t be reduced to feeling, sensation, idea or physical function.
- A dance wants to make sense.
- Armour off – not armour on. This is quite scary – and so it should be. (I think we should be permitted to wear some armour when we aren’t dancing though; when it makes sense).
- The compositional sense is intuitive, organic and natural but so is the desire to educate, refine, tune that intuition through disciplined forms of practice
- Being in the moment always involves a deep relationship with past and future – memory and imagination.
- The way that the concept of “inhibition” (non-doing) is used in the Alexander technique continues to inspire me.
- Improvisation and composition are more like two perspectives on any phenomenon rather than two different things to “do”.
I’m exploring presence, space and time through (among other things) explorations of tonus, effort, addressing levels, disposition, vertical journeys, proximity, meter, pulse, rhythm, phrasing.
Intendo la Contact Improvisation, in un modo molto semplice, come danza.
Non lo separo davvero dal resto della mia danza.
La mia “definizione” di Contact Improvisation è: “L’esplorazione dei limiti e delle possibilità di muoversi con intento poetico, ma senza un piano, in stretta vicinanza con altre persone, e l’effetto di ciò che si impara lì sulla danza quando siamo più lontano”.
Se dovessi nominare ciò che mi sta a cuore in poche parole direi:
- Le persone danzano, non i corpi.
- La tendenza ad essere poetici nel movimento è un tratto umano universale. Questo è il seme della danza.
- La danza è movimento reale nello spazio reale e nel tempo reale impegnato, con intento poetico. Non può essere ridotto a sentimento, sensazione, idea o funzione fisica.
- Una danza vuole avere un senso.
- Armatura tolta, non armatura indossata. Questo è fa abbastanza paura- e così dovrebbe essere. (Penso che dovremmo avere il permesso di indossare un’armatura quando non balliamo, quando ha senso).
- Il senso compositivo è intuitivo, organico e naturale, ma lo è anche il desiderio di educare, perfezionare, mettere a punto quell’intuizione attraverso forme disciplinate di pratica.
- Essere nel momento implica sempre una relazione profonda con passato e futuro – memoria e immaginazione.
- Il modo in cui il concetto di “inibizione” (non fare) viene utilizzato nella tecnica Alexander continua ad ispirarmi.
- L’improvvisazione e la composizione sono più come due prospettive su qualsiasi fenomeno piuttosto che due cose diverse da “fare”.
Sto esplorando la presenza, lo spazio e il tempo attraverso (tra le altre cose) esplorazioni di tono, sforzo, livelli di indirizzamento, disposizione, viaggi verticali, prossimità, metro, polso, ritmo, fraseggio.